Credo che fosse da tempo che non vedevo un cielo così...o forse non l'avevo davvero mai visto...
Tutt'attorno un buio assoluto, che ti tira fuori paure incontrollate che pensavi di esserti lasciato alle spalle con la fine dell'infanzia! e sopra la testa una miriade di stelle che sembra che allungandoti un po' te ne puoi riempire le mani...
E' così che mi ha accolto per la seconda volta La Brecha...
Il viaggio da S.ta Cruz è durato poco più di 12 ore...e son stata fortunata, perchè la strada era in ottime condizioni e non abbiamo mai avuto "problemi tecnici"!...Un viaggio in un bus stipato, dove anche i bambini sembrano essere "rassegnati" ai tempi di percorrenza boliviani e rimangono immobili per ore e ore senza fiatare...
Man mano che ci avviciniamo alla meta i miei dubbi aumentano sempre di più: lì fuori il nero più nero, senza nessun punto di riferimento...gli altri viaggiatori improvvisamente sembrano riuscire a riconoscere, grazie a un senso dell'orientamento incredibile, dove dover scendere e con in mano solo una piccola pila vengono subito inghiottiti dal buio...ma io come farò a capire dove devo fermarmi...?!
Fortuna che le altre persone con me sul pullman già sanno che da sola non ce la posso fare e dopo un po' di discussioni scelgono chi si dovrà prendere carico della "
gringa rimbambita perchè non vada a finire chissà dove"...
E infatti a un certo punto, anche se io fuori dal finestrino non vedo proprio niente, mi viene detto che devo scendere e che qualcuno mi accompegnarà dove devo andare: siamo arrivati alla Brecha.
Una volta giù, i miei occhi fanno fatica ad abituarsi all'oscurità e a dover camminare solo alla luce di una pila...mi sembra di essere proprio in un altro mondo!
Nel cuore della notte incontro Em
manuelle, che è arrivata qualche giorno prima di me e insieme andiamo in
quella che per una settimana sarà la nostra casa, l'ufficio delle guardie del parco nazionale Kaa Iya: una camera spartana, dove l'unica fonte di luce è una candela (qui non c'è la corrente), piena di "cadaveri di insetti" (Emmanuelle si è data da fare prima del mio arrivo!!), un bagno senza acqua e come doccia una cisterna, un secchio ed una bottiglia tagliata in due di coca cola.
Nonostante i mille rumori sospetti ed inqietanti riesco infine ad addormentarmi avvolta nella sicurezza del mio sacco a pelo.
I giorni seguenti incomincio a conoscere quella che è la vita nelle comunità: il tempo che scorre lento, scandito dall'avvicendarsi del giorno e della notte; le chiacchere (in guaranì!) attorno al fuoco beven
do mate, con capre,
cani, galline, pulcini che ti girano attorno in cerca di qualche cosa da mangiare; la bravura delle donne che preparano con gesti sicuri e abili (sembrano dei giocolieiri!!) cibo semplice, ma gustoso sopra un buco
pieno di braci. Ma è soprattutto questo cielo stellato che mi lascia veramente senza fiato e che mi fermo ad osservare a testa in su e a bocca aperta, come se fosse la prima volta. E qui imparo anche che non solo le linee tracciate dalle stelle parlano agli uomini, ma che i guaranì hanno imparato a vedere ed interpretare decine di altri disegni e figure, formate dallo spazio vuoto che le separa.
Ma la vita qui purtroppo non è solo "poesia"...a parte tutte le scomodità dal punto di vista pratico e che devo confessare ad un certo punto fanno sentire il loro peso, il contatto con la natura che ti circonda a 360° non è sempre idilliaco e a volte è un po' troppo forte per i miei sensi ormai un po' troppo "cittadini". E così una settimana dopo ritorno verso Charagua sul rimorchio di un camion di bestiame (i mezzi di trasporto qui son quelli che sono e bisogna accontentarsi di quello che passa il convento!) dopo aver condiviso l'ombra degli alberi con cavallette giganti, da me scambiate in un primo tempo per un tipo particolare di uccelli (sono veramente ENORMI!), con i pidocchi, due zecche, di cui una attaccata proprio lì dove non batte il sole, un incontro ravvicinato con uno sciame d'api, qui chiamate
cortapelo, perchè ti si infilano tra i capelli e verrebbe voglia di raparsi a zero piuttosto che levarsele una a una e, ciliegina sulla torta, dopo che uno dei serpenti più velenosi al mondo, il serpente corallo, mi ha attraversato il cammino...
Diciamo che certe sensazioni ed emozioni di questi giorni e perchè no, anche certe paure, non me le scorderò più per il resto della vita! Come anche la consapevolezza che alla fine ci si abitua quasi a tutto...o almeno, io ci sto provando!